13 dicembre 2010

La cultura si mangia?


I tagli alla cultura hanno provocato molte reazioni. Qualcuno, per giustificare i tagli, ha spiegato che la cultura non si mangia. Altri hanno spiegato che un fim in meno significa decine di posti di lavoro in meno, sia pure temporanei, e che i tagli mettono in crisi interi settori economici con migliaia di posti di lavoro in pericolo.

Vorrei provare a fornire qualche idea per capire meglio come stanno le cose.

Anzitutto è bene ricordare il caso degli incentivi auto (vedi qui): se si incentiva un settore con aiuti pubblici e questo fa salire la domanda di un bene o di un servizio, gli introiti fiscali e previdenziali possono essere superiori agli incentivi. Alla fine il bilancio per lo stato è positivo: incassa più di quanto spende.

I soldi pubblici destinati alla cultura dovrebbero -quando possibile- essere erogati seguendo lo stesso principio. Potrebbe funzionare nel caso del cinema, in cui il prodotto (il film) è destinato al mercato (sale cinematografiche, dvd, gli schermi televisivi). Si dovrebbero usare gli incentivi per ridurre il rischio dell'imprenditore che investe in un film, obbligando lo stesso, se il film incassa più di quanto speso per produrlo, a restituire le somme ricevute oppure a produrre film senza attori ben pagati. E' curioso vedere le proteste contro i tagli capitanate da attori famosi, a volte usati dai produttori per farsi finanziare, con soldi pubblici, film che poi nessuno guarderà.

Diversa è la situazione dei musei. I soldi incassati dalla vendita dei biglietti spesso coprono solo una piccola parte delle spese per mantenere i musei. In questo caso il beneficio prodotto da un museo è indiretto: attira turisti, studiosi o scalaresche che spendono soldi nei bar, nei ristoranti, negli alberghi ecc.

E' molto difficile, a mio avviso, decidere a priori se i soldi pubblici sono ben spesi o no oppure se debbano essere aumentati o diminuiti perché è complicato misurare gli effetti della presenza di un museo sulle scelte dei potenziali "turisti" museali.

Di sicuro è assurdo che gli enti locali non possano beneficiare fiscalmente della presenza di un museo nel proprio territorio. Oggi infatti se un ente locale finanzia una mostra che attira migliaia di visitatori fa un favore ad albergatori, ristoratori, commercianti ecc senza aumentare (se non in minima parte attraverso le poche imposte realmente locali) le proprie entrate fiscali.

Il federalismo fiscale non c'è e il finanziamento di una mostra o di una fiera, non provocando un aumento delle entrate, assomiglia più a un regalo a qualcuno con lo scopo di conquistarne il consenso. Ciò favorisce sia gli sprechi di chi si fa bello portando nel suo paese il cantante famoso e ben pagato, sia i tagli indiscriminati di chi punta a ridurre gli sprechi.

E cosa dire dei tagli alle università? Anche in questo caso la spesa pubblica produce entrate che coprono parzialmente i costi e altre indirette (maggior spesa degli studenti, maggiore reddito di chi si laurea). Oltre a quanto scritto sopra a proposito del federalismo (una città con una buona università spende per aumentare i servizi ma non aumenta le proprie entrate fiscali: non a caso qualche leghista vorrebbe riservare i soldi pubblici agli studenti della propria regione) c'è da chiedersi: perchè negli altri paesi si diventa professori a 30 anni anzichè a 50?

Ma di questo parlerò in un'altra occasione

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