I 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers mi spingono a raccontare un episodio accaduto diversi anni prima. Dovevo sostenere un esame e nel libro di testo un paragrafo afferma che, se si privatizzano le banche, è bene che si pongano limiti al possesso di quote di azioni di banche da parte di imprese industriali.
Non capendo il motivo decido di chiederlo al professore, autore del libro di testo. La spiegazione è che se la banca è indipendente, può spingere l'impresa a fare scelte anche drastiche per ridurre e eliminare le perdite, mentre se una impresa (grande) controlla una banca può persistere nell'errore che genera perdite perchè si fa finanziare dalla sua banca.
In caso di fallimento dell'impresa, la banca subisce perdite, e magari fallisce. Ma le banche si prestano soldi tra loro, così il fallimento di una banca può coinvolgere altre banche che a loro volta potrebbero fallire o, nella migliore delle ipotesi, potrebbero subire perdite e di conseguenza ridurre il credito a famiglie e imprese.
La crisi di una impresa può quindi per provocare danni molto più grandi se la banca è posseduta da una impresa. Di qui la necessità di limiti al possesso di azioni di banche da parte delle imprese.
Di questa spiegazione mi sono ricordato la sera del 14 settembre 2008, alla notizia che Lehman Brothers non sarebbe stata salvata. Mi era chiaro che il fallimento avrebbe coinvolto altre banche, molto meno che la paura del fallimento avrebbe creato una sfiducia generalizzata con conseguente fuga di capitali, vera causa della crisi come ricorda in questi giorni Ben Bernanke, ex numero uno della FED.
La maggiore consapevolezza delle dinamiche della crisi dovrebbe mettere in allarme chiunque, conoscendo un pò di economia, continua a sostenere tesi assurde come l'uscita dall'euro e spingerli a bollare come pericolosa fantasia tale ipotesi.
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