Quanto c'è di sensato nella protesta degli agricoltori che scendono in piazza lamentando prezzi troppo bassi per i loro prodotti e il rischio che i sussidi all'agricoltura, sotto forma di tagli fiscali e contributi (anche per non produrre) possano sparire o almeno essere ridotti?
Pensiamo al latte. Quante marche diverse ne troviamo in un supermercato?
Una mezza dozzina, forse di più considerando tutte le tipologie di latte.
E' un classico caso di oligopolio. Pochi produttori di un bene. Meno sono i produttori, più questi possono decidere il prezzo imposto al consumatore e il prezzo di acquisto dai fornitori, che invece sono tanti, spesso piccole aziende con poche mucche.
Se uno di questi non accetta il prezzo offerto dall'industria che trasforma il latte, quest'ultima si rivolge altrove. Prendere o lasciare.
Le politiche dell'UE ispirate alle libera concorrenza avranno spiegato ai produttori di latte, arance, pomodori, eccetera, come si sarebbe dovuto evolvere il loro settore produttivo, in un sistema concorrenziale?
Sicuramente s'è fatto grande uso di soldi pubblici che hanno permesso per decenni agli agricoltori e allevatori europei di ignorare un mercato in cui tanti piccoli produttori finiscono per essere in balia di pochi trasformatori e venditori finali.
I soldi hanno integrato il reddito e si sono dimenticate le possibili alternative: una politica capace di mediare tra interessi diversi oppure una politica che vincoli i fondi pubblici alla trasformazione del settore, creando produttori grandi e capaci di trattare alla pari con gli acquirenti di latte, arance, ponmodori, ecc..
Ha prevalso in altre parole una concorrenza selvaggia con aiuti pubblici, utilissimi anche per creare consenso politico. Oggi la minaccia di cambiamento spaventa e stimola le proteste.
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