05 dicembre 2015

Salvare gli obbligazionisti/azionsti

Nelle scorse settimane il governo ha emanato un decreto per salvare quattro banche italiane (Banca dell'Etruria, Cassa di Risparmio di Chieti, Cassa di Risparmio di Ferrara e Banca Marche) da tempo commissariate. 
E' stata una corsa contro il tempo per limitare i danni per i risparmiatori, perchè nel 2016 entreranno in vigore le nuove norme europee sui fallimenti, ma non tutto è andato bene.

Le quattro banche "salvate" hanno complessivamente 8,5 miliardi di euro di crediti che non riescono a incassare. Un 60% di quella cifra è ormai per così dire persa, cioè oggetto di svalutazioni ovvero di perdite inserite nei bilanci. 

Restano 3,4 miliardi in bilancio, dei quali solo 1,1 miliardi si pensa torneranno nelle casse delle banche.

Quindi le quattro banche perderanno complessivamente quasi 7,5 miliari di euro. Di fronte a una perdita così consistente, ci sarebbere da aspettarsi un fallimento. Ma non succederà: le banche verranno tenute in vita usando in parte i soldi del sistema bancario (con Unicredit, IntesaSanPaolo e Ubi Banca a far la parte del leone) mentre gli azionisti delle quattro banche e i possessori di obbligazioni subordinate finiranno per perdere tutto: i loro soldi copriranno parte delle perdite. 

Tra qualche tempo poi le banche saranno vendute e -si spera- ciò permetterà al sistema bancario di incassare i soldi sborsati per il salvataggio.

A far storcere il naso, in questo salvataggio, è il fatto che tra gli obbligazionisti e gli azionisti che perderanno tutti i loro risparmi ci sono molti cittadini che pensavano di acquistare normali obbligazioni e non pensavano di correre rischi. 

Dal punto di vista legale le loro perdite sono giustificate: hanno comprato titoli rischiosi.
Meno da un punto di vista etico: spesso le banche agiscono come un venditore che ha molti motivi di nascondere al cliente i difetti, reali o potenziali, del prodotto venduto. Difetti che le banche stesse hanno contribuito a creare con la concessione di prestiti secondo criteri non economici o per soddisfare interessi di altri clienti o degli amministratori della banca.





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