20 aprile 2010

Derivati: il pericolo era noto! Ecco la prova

Questo post vuole fornire una prova. La prova che il pericolo rappresentato dai derivati era ben noto e che, pertanto, è stato sottovalutato, per miopia.

Ma iniziamo dal problema dei derivati.

Immaginate una grande banca che investa una somma rilevante in titoli di stato greci. La Grecia, si sa, è piena di debiti e potrebbe non pagare.

La banca non vuole rischiare di trovarsi in mano un pugno di mosche e perciò si assicura, ad esempio comprando un credit default swap (CDS): se la Grecia non paga, ci pensa l'"assicuratore", che può essere una banca o un'assicurazione.

Il rischio per la banca si riduce e i CDS, in quanto titoli (derivati) si possono trattare sul mercato.

Ma cosa succede se all'improvviso la credibilità del debitore (in questo caso la Grecia, ma potrebbe essere una banca o una impresa) diminuisce e aumenta la probabilità di insolvenza?

Chi ha in mano i titoli di stato (o le obbligazioni di una impresa) se ne libera. Il loro valore diminuisce rapidamente e lo stesso accade con i derivati. Se l'assicuratore fallisse, perché si trova a restituire troppi soldi, anche i derivati che assicurano il creditore, tendenzialmente valgono poco o nulla.

Quindi è prevedibile che in caso di crisi chi possiede titoli derivati se ne liberi.

Ma non finisce qui, perché il timore che chi ha emesso i derivati subisca forti perdite spinge a vendere azioni, obbligazioni e altri titoli emessi da chi potrebbe subire una forte perdita.

Dunque uno strumento, i derivati, usato dal singolo operatore per proteggersi dal rischio, può produrre a livello di sistema economico l'effetto opposto. Come è accaduto nel 2008 in seguito al crollo di Lehman Brothers. I derivati hanno moltiplicato il rischio e ampliato la reazione degli operatori che si sono liberati dei titoli più rischiosi.

E qui veniamo alla prova. Oggi sappiamo che i derivati sono strumenti molto rischiosi e si invoca una regolamentazione di tali strumenti per evitare che si ripeta la vendita indiscriminata (sell off in inglese) dei titoli, con le conseguenze che conosciamo.

Ma nel 2008 cosa si sapeva? La risposta è semplice: si sapeva tutto!

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia, e altri economisti hanno scritto Stabilità non solo crescita, pubblicato nel 2008 in Italia da Brioschi e nel 2006 in Inghilterra dalla Oxford University Press.

Il capitolo 10 è dedicato ai pro e contro della liberalizzazione del mercato dei capitali (Lmc). Si spiega che essa aumenta l'instabilità e si dice che: l'impiego crescente di prodotti derivati è una fonte di instabilità legata alla Lmc. Se da un lato la crescita accelerata dei mercati dei derivati ha contribuito a ridurre la microinstabilità creando nuove tecniche di copertura che consentono ai songoli agenti di neutralizzare i rischi microeconomici, dall'altro ha probabilmente accresciuto la macroinstabilità.

I prodotti finanziari derivati hanno ridotto la trasparenza, posizioni "fuori bilancio"consentito la creazione di ampie che sono difficili da regolamentare e hanno accelerato le risposte del mercato a repentini mutamenti di opinioni ed aspettative.

Il ragionamento del libro poi continua, ma una cosa è chiara: i pericoli legati all'uso di derivati erano noti e l'allarme non proveniva da un economista sconosciuto ma addirittura da un premio Nobel.

Perchè si ignorano tali teorie, contenute in un libro che si poteva trovare in molte librerie?

Le risposte possono essere due.

La prima è che chi governa non ha molto interesse a regolare i fenomeni potenzialmente pericolosi. Prevale il libersmo che, nel caso di Lehman Brothers, ha significato non intervenire. In proposito vale la pena ricordare la strana frenesia del professor Giavazzi di cui ho scritto tempo fa.

La seconda è che l'economia è, per molti, utile se serve ad affrontare i problemi microeconomici, a spiegare come funziona l'impresa o un singolo mercato. Ma se la teoria lancia un allarme rosso riguardante l'economia nel suo complesso, la si ignora o si tira fuori una teoria che ignora o ridimensiona gli effetti macroeconomici.


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