21 maggio 2011

Default Grecia?


Torna d'attualità il caso della Grecia che, per un numero crescente di esperti finanziari, è sempre più a rischio default, ovvero rischia di non pagare i prossimi titoli in scadenza.

La pensano così le agenzie di rating e la pensa così la signora Lagarde, che forse sostituirà Strass-Kahn al Fondo Monetario Internazionale.
Ma come si è arrivati a questa situazione e come uscirne?
La Grecia ha esagerato, negli anni scorsi, con le spese, regalando soldi a tutti. In più i conti sono stati falsificati, mostrando una situazione molto migliore di quella vera.

Quando il socialista Papandreou è diventato primo ministro, ha raccontato la verità e affrontato una durissima realtà: con un deficit superiore al 10% del PIL, la Grecia non era in grado di rimborsare i titoli in scadenza.

Dopo qualche esitazione, il FMI e l'Europa sono corsi in aiuto della Grecia. In cambio dell'impegno a mettere a posto i conti, la Grecia ha ricevuto molti soldi, sufficienti a garantire il rinnovo del debito in scadenza per qualche anno.

Ma gli interventi, pesantissimi, per ridurre la spesa pubblica e mettere a posto i conti, stanno provocando un costante calo del PIL greco: con meno soldi in tasca, i greci spendono di meno e la produzione di beni e servizi diminuisce.
Così scatta l'allarme: se il PIL diminuisce, i conti pubblici non migliorano e l'appuntamento con l'insolvenza è solo rinviato. La Grecia troppo indebitata e con un PIL in calo non può rivolgersi ai mercati finanziari, che richiederebbero un tasso di interesse molto elevato.

E' una situazione paradossale: quanto più un paese è indebitato e i conti pubblici presentano deficit, tanto più alti sono i tassi di interesse richiesti e tanto più elevata è la spesa per interessi dello Stato che, invece, avrebbe bisogno di spendere di meno.

L'aumento dei costi per interessi poi spinge lo Stato a intervenire sui conti pubblici, riducendo la spesa o aumentando le imposte, misure che deprimono l'economia in un momento in cui sarebbe necessario l'esatto opposto, un aumento del PIL e quindi delle entrate fiscali.
La Grecia rischia quindi di non poter pagare i prossimi titoli in scadenza e di dover dichiarare l'insolvenza. Ma il ministro Lagarde esclude tale ipotesi, come riportato dal Sole 24 Ore (vedi qui).

E c'è da capirla: se la Grecia non pagasse, la crisi greca colpirebbe non solo l'economia ellenica, ma anche il resto d'Europa, a cominciare da Francia e Germania le cui banche hanno prestato parecchi soldi ai greci.

Occorrono dunque delle soluzioni alternative. Ma quali?
La soluzione forse più semplice e indolore sarebbe quella di allungare le scadenze del debito e di ridurre l'interesse. Igreci potrebbero pagare un interesse inferiore e più avanti nel tempo, dando la possibilità ai greci, nel frattempo, di rimettere a posto i conti pubblici, favoriti da una riduzione della spesa per interessi.
E' una soluzione ragionevole. La riduzione della spesa per interessi non può che giovare all'economia greca, ed è praticabile a patto che la BCE acquisti, se necessario, i titoli greci e a condizione che qualcuno garantisca le banche e i risparmiatori contro il rischio di insolvenza. In presenza di tale garanzia non ci sarebbe motivo di chiedere al governo greco il pagamento di un tasso di interesse elevato.

Ma chi garantirebbe il debito pubblico greco?

La soluzione opposta, estrema, consiste nell'insolvenza. Il mancato pagamento avrebbe effetti sconvolgenti sull'economia greca perchè fallirebbe, oltre allo Stato, anche le banche e anche sul resto d'Europa perchè interesserebbe molte banche europee.
Così chi pensa all'insolvenza propone due versioni "morbide". L'uscita dall'euro e il mancato pagamento parziale del debito.

L'uscita dall'euro è invocata come strumento per consentire ai greci una rapida ripresa dopo aver dichiarato bancarotta. Ma in tal caso si assisterebbe alla fuga dei capitali dalla Grecia che resterebbe un paese con una moneta (la dracma) svalutata e le casse desolatamente vuote.

Per questo il governo greco ha, nei giorni scorsi, smentito categoricamente l'ipotesi di uscita dall'euro.

Un'altra soluzione riguarda la riduzione del debito attraverso le privatizzazioni. Lo stato greco è proprietario di un gigantesco patrimonio fatto di società e di immobili. Si stima che il valore superi l'ammontare del debito, ovvero sia di circa 400 miliardi di euro.
Il governo greco si muove in questo campo con molta cautela. Ha promesso di recuperare 50 miliardi, e teme che le privatizzazioni comportino, almeno nel breve periodo, ulteriori cali del PIL. Chi comprasse le aziende greche sarebbe costretto a ridurre il personale, a tagliare i costi, a diminuire gli sprechi. Tutte scelte che scatenerebbero le proteste e causerebbe un ulteriore calo della domanda.

Per ora l'Europa pare puntare su questa soluzione: la Grecia deve impegnarsi di più nella privatizzazione e usare i soldi ottenuti per coprire i buchi di bilancio e, se possibile, per ridurre il debito pubblico.

Sarà sufficiente una maggior dose di privatizzazioni a cambiare l'opinione dei mercati sulla Grecia? E, soprattutto, potrà e vorrà il governo greco perseguire con maggior impegno la strada delle privatizzazioni per affrontare un problema che rischia di avere conseguenze pesanti per l'economia europea?

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