18 settembre 2015

L'Italia cresce, il mondo no

La decisione di ieri sera della FED di lasciare invariati i tassi non è un buon segnale per l'economia mondiale.

La crescita nel mondo rischia di rallentare, soprattutto per rallentano le economie che negli ultimi anni sono state più dinamiche: la Cina sta passando da tassi di crescita attorno al 10% a tassi che scendono verso il 5% (c'è chi sostiene che i cinesi trucchino i dati del PIL, con un tasso "vero" inferiore a quello dichiarato), il Brasile e in recessione e i suoi titoli pubblici sono considerati alla pari di paesi poco affidabili. Negli USA i dati sull'occupazione sono buoni ma l'inflazione resta bassa, segno che la domanda potrebbe essere più forte.

In questo scenario poco edificante l'economia italiana sembra far bene. La previsione di una crescita dello 0,7% nel 2015 pare troppo prudente e viene rivista allo 0,9%, mentre per Confindustria, di solito poco ottimista, si arriverà all'1% e in due anni ci sarà quasi mezzo milione di occupati in più.

La spiegazione di questa apparente preoccupazione è che finalmente sta crescendo, come spiega il ministro Padoan, la domanda interna.

Il rallentamento dei tassi di crescita in alcuni grandi economie in fase di sviluppo preoccupano i paesi industrializzati che producono e vendono in quei paesi una parte crescente dei loro beni e servizi. Per cui se la Cina cresce di meno, la domanda estera di Europa e USA ne risente.

Nel caso dell'Italia invece è la domanda interna, per troppo tempo depressa da pessime politiche fiscali e del lavoro, a dare segni di ripresa. Di qui l'apparente contraddizione, ma anche l'indicazione della strada da seguire in futuro: la strada dei sacrifici per abbassare i costi di produzione, a cominciare dal lavoro, e rendere più competitiva un'economia rispetto ai concorrenti, cioè l'austerità, ha fallito. Serve invece un aumento della domanda interna. Per noi come per il resto del mondo.

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