Da qualche settimana si assiste alla vicenda Lactalis-Parmalat.
Dopo il fallimento del 2003, l'amministratore delegato Enrico Bondi ha rimesso le cose a posto: ha ceduto le attività non redditizie, ha chiuso le vertenze con le banche e ha quotato in borsa l'azienda di Collecchio, pagando i creditori della vecchia Parmalat con azioni della nuova società, che produce ogni anno 2-300 milioni di utili netti.
Per questo Parmalat fa gola a molti, a cominciare dalla francese Lactalis che ha acquistato il 29% delle azioni. Questo significa che chiunque volesse acquistare Parmalat dovrebbe lanciare un'offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni del gruppo di Collecchio. E forse non gli converrebbe.
Il governo ha reagito con norme che ostacolano le scalate da parte degli stranieri. I francesi, in passato, hanno impedito agli stranieri di acquistare le loro aziende e oggi Tremontii applica le stesse regole, rinnegando l'idea che sia il mercato a decidere.
Sulla vicenda è intervenuto sul Corriere un buon giornalista come Massimo Mucchetti (vedi qui) cui ha risposto, sul corriere.it, Roger Abravanel (vedi qui).
Chi è e cosa dice Abravanel?
E' un ingegnere che dopo 35 anni presso una società di consulenza americana oggi si occupa di fondi di investimento. In pratica uno che compra e vende aziende, investe in aziende che possono crescere e rivende le partecipazioni per fare utili. Spesso incurante della sorte di chi ci lavora. Ma soprattutto è un guru dei sostenitori della meritocrazia.
Non a caso la sua rubrica su corriere.it si chiama Meritocrazia. Un'invocazione al mercato, al meglio che prevale sul peggio, alla libertà che vince sulle regole.
E infatti l'ingegnere scrive: "Mentre le società avanzate sono entrate in una era «post-industriale» dove si valorizza il talento e il paradigma economico non richiede più fabbriche di piccole imprese che producono prodotti, ma grandi imprese che valorizzano eccellenza e talenti che producano idee per farle crescere, noi siamo ancora fermi ad un modello obsoleto di piccole imprese industriali che esportano grazie a un imprenditore geniale che riempie le fabbriche per i suoi operai. Per «tenerci Parmalat», non abbiamo bisogno di meno libertà economica e più protezionismo, ma di azionisti eccellenti in grado di competere con Lactalis nel creare idee che creano più valore per i suoi azionisti e più opportunità per i suoi lavoratori".
Tradotto in italiano: non ci interessano fabbriche e operai, ma solo il meglio degli ingegneri e dei manager capaci di far produrre un bene a qualche disgraziato del terzo mondo (che non vogliamo neppure sapere chi è) un bene e venderlo in giro per il mondo.
Peccato che l'Italia sia piena di operai che non aspirano a perdere il posto e non si possono trasferire rapidamente in manager di alto livello.
Peccato che in mercati come quello alimentare la crescita sia molto lenta e che, quindi, non ci siano certezze su lavoro e crescita: Lactalis anzi potrebbe integrare le proprie attività in Italia (dove gestisce marchi come Galbani e Invernizzi) con quelle di Parmalat tagliando i lavoratori di troppo.
Peccato che Lactalis sia considerata un'azienda poco trasparente e facile al ricatto.
E peccato che -soprattutto- Lactalis abbia una strana idea del mercato "libero", come insegna la vicenda di Moretta, che dubito Abravanel conosca.
Moretta è un paese della provincia di Cuneo in cui esisteva, fino al 2006, uno stabilimento di trasformazione del latte. Dalla Nestlè è passato al gruppo Lactalis che un giorno decide di poter fare a meno del latte e dell'impresa di trasformazione. Meglio lasciare lo stabilimento con vista sul Monviso per uno nell'hinterland milanese.
I lavoratori, i sindacati e la politica locale si mobilitano per salvare i posti di lavoro dei dipendenti e dei fornitori, ma non riescono a far nulla. Lactalis chiude e non vuole neppure cedere lo stabilimento, anche se le offerte non mancano.
Per Lactalis deve restare chiuso ad arrugginire. Lactalis rinuncia a incassare un bel pò di soldi pur di non avere un concorrente capace di offrire lo stesso prodotto e di sfruttare il latte degli stessi fornitori.
Insomma il mercato non funziona come vorrebbero i liberisti. Alcuni economisti l'hanno spiegato da molto tempo (e qualcuno s'è portato a casa il premio Nobel) ma i liberisti, sempre attenti al merito (il proprio o quello altrui) non se ne sono accorti.
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