In meno di una settimana, siamo passati da una crisi di governo lunga, piena di veleni, di dichiarazioni ostili anche verso il presidente della Repubblica, al giuramento di Giuseppe Conte e dei suoi ministri, tra i quali Matteo Salvini, che aveva fatto saltare mesi di trattative impuntandosi sul nome di Paolo Savona, respinto dal Quirinale.
Nel frattempo abbiamo visto i mercati finanziari che cambiavano atteggiamento: se erano rimasti per due mesi quasi indifferenti alla mancanza di un governo, con l'inizio delle trattative tra Movimento 5 Stelle e Lega lo spread ha cominciato a salire e i titoli azionari a scendere, segno evidente che le preoccupazioni su notizie allarmanti per il bilancio pubblico hanno favorito le vendite di titoli di stato e azioni.
Con il fallimento delle trattative, domenica 27 maggio, le vendite hanno prevalso e in pochi giorni lo spread ha superato quota 300. Matteo Salvini e Luigi Di Maio si son mostrati tranquilli, comportandosi, in giornate molto convulse nelle quali ogni possibilità di fare un governo pareva tramontata, come se lo spread non fosse un problema, ma il risultato di scelte sgradite di speculatori e ribadendo, soprattutto Salvini, che in Italia non doveva comandare Berlino, cioè la Germania accusata di ingerenza negli affari economici altrui.
Poi all'improvviso, mercoledì 30 maggio tutto è cambiato e in due giorni si è giunti alla formazione di un governo senza Paolo Savona all'economia.
Ha forse vinto Berlino? Pare proprio di no. La svolta sarebbe arrivata dalla Lega. Qualcuno ha parlato con Mario Draghi che ha spiegato che uno spread elevato significa due cose.
La prima è tassi di interesse, e quindi spesa pubblica, in crescita. Ma questo l'aveva già detto il Presidente Mattarella commentando la rinuncia di Conte a formare un governo, nel pomeriggio di domenica 27 maggio.
La seconda è che uno spread elevato rischia di provocare un giudizio negativo delle agenzie di rating, al punto che la BCE potrebbe essere costretta a non comprare più titoli di stato italiano, anche in questo caso con effetti molto negativi per la spesa pubblica per interessi e quindi sulla possibilità per il governo di trovare i soldi per attuare il proprio programma.
Salvini può gridare al complotto, può affermare che non vuole un'Italia sotto il giogo di Berlino ma sa bene (o forse glielo spiega qualcuno nella Lega) che i titoli di stato che rappresentano l'enorme debito pubblico italiano devono essere acquistati da qualcuno pagando tassi di interesse possibilmente bassi.
Così, avvertito da Draghi della possibili conseguenze delle proprie scelte politiche, cede proprio come ha fatto prima di lui Berlusconi, che nel 2011, di fronte a mercati che vendevano i titoli di stato facendo salire alle stelle lo spread, ha lasciato la presidenza del consiglio e accettato le ricette economiche di Mario Monti.
Se la propaganda impone di invocare il sovranismo e il complotto di Berlino, la realtà impone accordi e compromessi per non mettere a rischio di conti pubblici e trovarsi a governare una economia con conti pubblici disastrati. Alla fine, comunque la si pensi, lo spread è uguale per tutti e tutti corrono ai ripari prima che diventi un pericolo per lo Stato.
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