Se uno dei primi effetti della Brexit è la svalutazione della sterlina, scesa ai minimi degli ultimi 31 anni, c'è da scommettere che qualche politico proporrà il ritorno alla lira e una svalutazione competitiva. E ciò accadrà soprattutto se, come è possibile, nei prossimi mesi le esportazioni britanniche saliranno per effetto di una sterlina svalutata che rende meno conveniente importare prodotti stranieri in Gran Bretagna.
Ora, a parte il fatto che la svalutazione penalizza il settore finanziario, perchè minaccia gli investimenti in sterline, l'idea di una svalutazione competitiva è illusoria.
La prima ragione è che, a differenza della Gran Bretagna, l'Italia non possiede una propria moneta e non sarebbe facile tornare alla lira.
La seconda e più importante ragione è che se anche esistesse la lira, non sarebbe una moneta forte, capace di attrarre capitali. S'è visto ieri. Mentre i mercati crollavano lo spread italiano, cioè la differenza tra i rendimenti dei titoli di stato italiani a 10 anni e i titoli tedeschi di pari durata è aumentata fiorando i 200 punti. Nel frattempo il rendimento dei bund decennali tedeschi è diventato negativo e nonostante la sterlina stesse crollando il rendimento dei titoli decennali inglesi non è salito.
Il significato di tutto ciò è chiaro: se le cose vanno male, gli investitori scelgono i titoli di stato inglesi e tedeschi e fuggono da quelli italiani. Un eventuale e complicato ritorno alla lira se anche garantisse i vantaggi della svalutazione, metterebbe il debito pubblico in balia della speculazione, difficile da affrontare senza il supporto della BCE.
La svalutazione di una improbabile lira sarebbe decisa dalla speculazione e non dal governo italiano, che invece dovrebbe fare i conti con titoli di stato molto costosi, effetto di una scarsa fiducia nella lira.
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