Da qualche anno abbiamo imparato cos'è il quantitative easing (QE): un acquisto di grandi quantità di titoli di stato (ma anche di altri titoli, volendo) allo scopo di abbassare i tassi di interesse pagati dagli Stati (oltre che da imprese e consumatori) e per offrire alle banche liquidità da impiegare nell'economia. La speranza è che le banche, cedendo titoli di stato in cambio di liquidità, possano prestarla a famiglie e imprese così da stimolare consumi e investimenti, anche allentando la stretta del credito che di solito accompagna ogni crisi economico-finanziaria.
Se il QE ha questi effetti positivi -si chiederà qualcuno- perchè non utilizzarlo per far uscire finalmente la Grecia da una crisi drammatica? In fin dei conti molti Stati, a cominciare dagli USA, hanno beneficiato delle politiche di QE della propria banca centrale. Il calo dei tassi ha allontanato il timore che il debito di tali paesi potesse diventare insostenibile per un eccesso di spesa per interessi. Così è lecito chiedersi: perchè quel che ha funzionato altrove non si può applicare in Grecia?
La ragione è assai semplice: una banca centrale indipendente ha nel proprio statuto regole che impediscono l'acquisto di titoli troppo rischiosi. La banca centrale acquista preferibilmente titoli di stato perchè il rischio che lo Stato che li ha emessi non paghi è minimo ed è in ogni caso inferiore al rischio di insolvenza di una impresa.
Nel caso della Grecia però il rischio di default è elevato e questo perchè le entrate fiscali non sono certe, la spesa è eccessiva, la credibilità dei governi dopo l'annuncio dei conti falsificati è ai minimi termini, il PIL scende da anni, le banche sono sull'orlo del fallimento.
Per questi motivi la BCE non può acquistare grandi quantitativi di titoli di stato greci e partecipa con gli altri paesi europei alle trattative per convincere la Grecia a rendersi credibile.
Solo quando la credibilità sarà ripristinata, la BCE potrà acquistare i titoli greci come fa con gli altri stati.
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