
Fino a due anni fa si citava, come prova, gli USA. Il tasso di disoccupazione era inferiore al tasso di disoccupazione europeo. Era... Oggi la disoccupazione USA è poco inferiore al 10%, mentre in Germania siamo al 7,3% benchè non sia facile licenziare e, anzi, aziende come Siemens promettono di non licenziare mai.
Ci sono almeno due buone ragioni per dire che il tasso di disoccupazione non dipende -se non in modo marginale- dalla libertà di licenziare.
La prima è che, all'interno dello stesso stato, ci sono tassi di disoccupazione diversi. Difficile immaginare che la differenza tra il 5% di una regione e il 15% di un'altra dipenda dalla libertà di licenziare, perchè le regole sono uguali.
La seconda è che è difficile immaginare un'impresa che aumenta in modo rilevante il numero di lavoratori solo perchè è libera di licenziarli. Può succedere nelle imprese con meno tecnologia: un hotel può assumere un maggior numero di dipendenti per offrire un servizio migliore, ma non si aumentano i lavoratori alla catena di montaggio.
Molti lavori richiedono una formazione costosa. Se licenziati, l'impresa perde l'investimento. Non conviene licenziare chi ha imparato un mestiere o chi ha buoni rapporti con un cliente dell'azienda.
In ogni caso è la domanda che spinge le imprese ad assumere. Sarebbe curioso il caso di un'impresa che assume esclusivametne perchè libera di licenziare.
A conferma di ciò c'è la crisi: oggi il tasso di disoccupazione americano supera quello tedesco, anche se negli USA le regole sono molto più favorevoli all'impresa. Inoltre gli studi sembrano suggerire, come riportava nel 2003 Emiliano Brancaccio su Liberazione (vedi qui), che la libertà di licenziamento influenza solo in modo marginale il tasso di disoccupazione.
Ma come si spiega che in Germania, dove si licenzia con più difficoltà, il tasso di disoccupazione è attorno al 7,5% mentre gli USA sono poco sotto il 10%?
Proprio con le regole: se è più difficile licenziare un lavoratore, l'impresa cercherà di fare in modo che il suo lavoro sia più redditizio. In caso di crisi si assottiglia il guadagno dell'impresa che non lo licenzierà fino a quando guadagna. Se un'impresa invece, libera di licenziare, investe poco nel lavoratore e si accontenta di un guadagno inferiore, lo licenzierà più facilmente.
Così le imprese più vincolate cercheranno di formare il lavoratore, di fornirgli gli strumenti di cui necessita, di conquistare i mercati più redditizi.
La crisi ha colpito maggiormente le imprese e le economie che puntavano sul basso costo della manodopera poco qualificata, mentre si rafforza l'economia tedesca dove è più difficile licenziare.
E' una lezione anche per l'Italia, dove molti esponenti del governo (come Sacconi e Brunetta) e anche parecchi dell'opposizione (Ichino) puntano solo su un lavoro poco qualificato e a buon mercato, ignorando le ricadute positive di regole più restrittive.