01 agosto 2010

Tagli alla cultura: arriva un fallimento?


Da anni il sistema politico s'è inventato un nuovo metodo per gestire teatri e musei. Si creano fondazioni e gli si offre una certa autonomia gestionale, trasformandoli di fatto in imprese che vendono un servizio al pubblico.

Dovrebbero avere i conti in ordine e raccogliere capitali dai privati, interessati a farsi pubblicità tra un concerto di Mozart e l'altro.

Dovrebbero, ma non succede o almeno non succede in misura sufficiente a garantire alle fondazioni di vivere con i soldi raccolti "sul mercato". In pochi investono nei teatri o nei musei e ancor meno donano capitali.

I teatri, i musei ma anche le università vivono dunque di soldi pubblici, che sono sempre meno per la palese volontà specie del governo di destra di intervenire sui conti pubblici attraverso tagli.

I biglietti, le tasse universitarie, le sponsorizzazioni coprono solo una parte dei costi e non si può immaginare che in futuro le cose siano destinate a cambiare. Se non interviene la mano pubblica, i conti non tornano.

Così sta succedendo che il teatro Carlo Felice di Genova è in una situazione difficilissima, praticamente sull'orlo del fallimento (vedi qui). I soldi non bastano e si pensa di chiudere per un anno, mettendo in cassa integrazione i dipendenti.

E' l'ultima puntata di una crisi, quella del teatro genovese, che perdura da anni ma anche il simbolo del fallimento di un modelo e un campanello di allarme di quel che potrebbe succedere nei prossimi anni ad altri teatri, università e musei se la politica dei tagli continuerà.

E' assurdo che un ente di fatto pubblico metta in cassa integrazione i dipendenti per risparmiare sui costi. La fondazione risparmia ma lo stato paga la cassa integrazione, anticipata dalla Regione.

Ma soprattutto è il fallimento di un progetto, consistente nel rendere autonome istituzioni che vivono solo se ottengono soldi pubblici, nella speranza che possano incassarne di meno e ottenere di più dal settore privato: ormai è chiaro che ciò non accade.

Quel che sta succedendo a Genova, infine, fa presagire tempi non felici per settori strategici come l'università e la cultura. Cosa succederà se continueranno i tagli? Vedremo le università o i musei chiusi per fallimento?

6 commenti:

  1. Gian, quanto è possibile secondo te che una parte della colpa possa essere delle imprese culturali che "vivacchiano" con le sovvenzioni statali e non intraprendono un benché minimo investimento sul lato manageriale, di gestione e ottimizzazione dei risultati per l'impresa?

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  2. c'è sicuramente una responsabilità, specie in questo caso. La vicenda è durata quasi 10 anni, durante i quali c'è anche stato uno scandalo relativo -se ben ricordo- al fondo pensione. Soldi investiti male e gestiti male, cose poco chiare e dipendenti che di fronte alle difficoltà si sono rifiutati di accettare interventi che avrebbero potuto migliorare i conti

    Poi i teatri lirici replicano poche volte gli spettacoli con effetti negativi sul costo medio del singolo spettacolo, molto elevato, e sui ricavi, ridotti.

    Di sicuro non fa parte della loro cultura nè l'innovazione (potrebbero ad esempio stabilire un tetto ai salari, rifiutando di assumere i direttori d'orchestra famosi e scegliendo i giovani meno conosciuti e meno esosi) nè una logica economica (ad es. Torino e Milano da un paio d'anni fanno un festival musicale a settembre facendo lo stesso concerto nelle 2 città in modo da risparmiare un pò sull'ingaggio delle orchestre che devono suonare in un posto, prendere il treno e il giorno dopo suonare a 150 km di distanza)

    Alcuni probabilmente se la cavano con tournè all'estero (in questi giorni il Regio di Torino ha oltre 200 persone impegnate in Asia, tra Giappone e Cina) ma ciò non toglie che sono teatri che vivono di soldi pubblici, senza i quali non sopravvivono

    Di sicuro pare poco credibile la logica usata negli ultimi anni di creare fondazioni che dovrebbero risolvere il problema

    Oggi tocca al teatro Carlo Felice e domani, se non cambia nulla, sarà la volta di altri

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  3. Ehi gian!
    Qualcun'altro che la mena col signoraggio...
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/02/e-boom-per-le-banconote-da-500-euro-cosi-si-aggira-la-crisi-favorendop-il-crimine-organizzato/46904/

    Però l'utilità delle banconote da 500, effettivamente non lo vedo neanche io...

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  4. ciao,
    sono tornato da 15 giorni gelidi in montagna trascorsi a fare foto e tra qualche tempo scriverò qualcosa di interessante sugli azionisti della banca d'Italia...

    se gli analisti di certe banche si sono fatti battere da un polpo nelle previsioni sul calcio come stupirsi se scrivono sciocchezze economiche?

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  5. Io parlo per esperienza del Teatro delle Muse di Ancona.
    Purtroppo nel settore lirico è impossibile stare nei costi con il costo dei biglietti. Ricordo che il vecchi osindaco di Ancona diceva che solo per aprire il portone del teatro (quindi senza spettacoli) costava 2000 € al giorno.
    Uno spettacolo lirico può costare solo per il tenore anche 15-20.000 €, quindi basta fare due conti per vedere quanti milioni costa uno spettacolo tra scenografie, orchestrali, cantanti, luci e costumi.
    I ricavi al botteghino, anche supponendo che il prezzo medio sia di 100 € (che non è...) e che il teatro contenga 1000 posti (raro...) al massimo sono di 100.000 € a serata.

    Ovviamente non si può chiedere a un tenore di cantare tutti i giorni, quindi è palese che i teatri devono vivere di contributi.

    Il problema è che nelle intenzioni i contributi dovevano essere privati e invece quelli privati (che pure ci sono...) non bastano e allora bisogna andare a chiedere soldi allo stato, alle regioni e ai comuni.

    Quindi con tutti i tagli agli enti locali è ovvio che i le prime penalizzazioni sono proprio per la cultura: un sindaco cosa preferirà tagliare? I soldi per la lirica o quelli per asili e strade?

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  6. esempio perfetto

    l'idea di raccogliere capitali privati ricorda quanto avvenne nei primi anni '90, dopo tangentopoli. Si introdusse la possibilità di un contributo (tipo 8 per mille) nella dichiarazione dei redditi destinato ai partiti, che avrebbbero ottenuto i soldi solo se gli italiani avessero firmato la casella sulla dichiarazione

    Pochissimi lo fecero e il finanziamento dei partiti con quel sistema fu presto abolito

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