25 febbraio 2012

Il destino di Fiat e gli operai di Melfi

Massimo Mucchetti, giornalista economico del Corriere, ha intervistato Marchionne lo stesso giorno in cui il tribunale di Potenza ha reintegrato i tre operai di Melfi licenziati per aver ostacolato l'attività produttiva, a dire dell'azienda, ovvero per aver fatto attività sindacale, secondo gli operai e il sindacato.

Chi ha ragione tra la Fiat, che, preso atto della sentenza, ha annunciato di voler ricorrere in Cassazione e ha annunciato agli operai che non torneranno a lavorare, e gli operai che tirano in ballo anche i diritti costituzionali per sottolineare le loro ragioni?

La risposta arriverà dai giudici, dalla Cassazione e poi da altri giudici di merito, se la Cassazione troverà errori nella sentenza oggetto d'appello.

L'intervista di Marchionne, che ha descritto le problematiche del gruppo Fiat-Chrysler, può servire a inquadrare nella giusta prospettiva la questione dei tre operai, dei diritti garantiti (o forse no) dallo Statuto dei lavoratori e dalla Costituzione.

Marchionne descrive un gruppo che gode di una discreta salute. Fa pochi profitti, e quelli che fa non arrivano dall'Italia, ma anche qualche problema.

C'è un problema finanziario. Fiat ha 20 miliardi di liquidità, tenuta ferma, nonostante costi centinaia di milioni, perchè Marchionne non si fida dei mercati finanziari ed è consapevole che, se Fiat avesse difficoltà a reperire finanziamenti, non potrebbe ricorrere alle banche italiane, come successo in passato.

C'è poi un problema europeo. In Europa si producono troppe auto e la domanda è modesta. Chi investe in nuovi modelli finisce per rimetterci, anche se conquista una quota di mercato. Marchionne pensa che prima o poi le altre case automobilistiche europee, tedesche escluse, saranno costrette fare i conti con una capacità produttiva eccessiva. Dovranno chiudere qualche impianto. Fiat si potrà salvare, forse, esportando all'estero parte della produzione italiana, complice la debolezza dell'euro (come avevo scritto qui) e l'interesse di Chrysler a non riaprire gli impianti chiusi nel 2009.

Tuttavia serve, dice Marchionne, che i costi siano competitivi. Non si parla di pagare di meno il personale, ma di sfruttare di più gli impianti, costruendo in Italia auto destinate al mercato americano. Se non succederà, due stabilimenti italiani rischiano di chiudere.

La sorte dei tre operai di Melfi si intreccia dunque con quella di molti altri loro colleghi, che rischiano il posto se non si troverà il modo di sfruttare di più gli impianti produttivi. La politica, che decide le regole, dovrà fare delle scelte o, meglio, trovare un equilibrio tra i diritti dei singoli e le esigenze di un'impresa che compete in un mercato competitivo e in un contesto economico-finanziario complicato.



1 commento:

  1. le sentenze van sempre lette, come da tradizione.

    Son curioso di capire che decisione arriverà dalla Cassazione. Ho fatto da poco l'esame di business history e vedo che i problemi europei son sempre gli stessi, debolezza del mercato interno, compensato con propensione all'esportazione come sfogo. Tutto il contrario degli USA, integrazione o meno... Certo, noi sul continente abbiamo un po' di paesi con ognuno una serie di gruppi industriali, mentre gli USA ne hanno un po' di meno... ma quello conta fino a un certo punto.

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