30 gennaio 2010

La lezione di Favara



A Favara, comune di 33.000 abitanti in provincia di Agrigento, pochi giorni fa un fatiscente edificio è crollato uccidendo due ragazzine. Una famiglia povera, poverissima, costretta a vivere in un palazzo del centro storico. Mal ridotto ma di poco prezzo.

La Stampa il 28 gennaio ha raccontato che il comune agrigentino ha però speso 5 milioni di euro per ristrutturare la propria sede, il palazzo baronale del paese, che ha speso 35.000 euro per arredare l'ufficio del sindaco e sta per comprare un notebook per ognuno dei 30 consiglieri comunali, mentre 99.000 euro se ne sono andati per organizzare cocktail, 13 mila per gli addobbi natalizi.

I contributi a chi non ha un reddito è stato azzerato, non si riparano i tetti e le caldaie delle scuole, l'assistenza agli anziani è stata sospesa, chi lavora nelle comunità di accoglienza per bambini in difficoltà deve ricevere ancora i soldi del 2008 e si stanno erogando i buoni-casa del 2007. Motivo? Non ci sono i soldi.

Sprechi assurdi e pessima amministrazione, ma non solo. C'è forse qualcosa di più profondo, che forse spiega il dramma di Favara e perchè difficilmente qualcosa cambierà: una forte tolleranza delle disuguaglianze che rende indifferente chi gode di una posizione di privilegio alle sofferenze altrui e pensa a sè, ai propri privilegi, piccoli o grandi che siano.

Ogni volta che un'alluvione o un altro disastro annunciato -come l'ha chiamato l'arcivescovo di Agrigento, che per protesta s'è rifiutato di celebrare i funerali- uccide qualcuno ci si chiede: quando finiranno i morti?

La risposta purtroppo è tragica: mai, se si tollerano forti disuguaglianze sociali, culturali e soprattutto economiche.

Per questo motivo, una volta finiti il lutto e le polemiche, tutto ricomincia come prima e arriveranno altri morti, persone cui la vita e il contesto sociale e culturale ha offerto solo una casa pericolante o sotto una montagna assassina.

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