03 febbraio 2014

La risposta di Bankitalia - 1

La Banca d'Italia ha emesso alcune note relative al decreto approvato la scorsa settimana tra le polemiche del partito di Grillo, che accusa il governo di regalare 7.5 miliardi alle banche private.

Ecco la prima parte:

 Conseguenze per la Banca d’Italia della legge 29 gennaio 2014, n. 5

1. Natura e proprietà della Banca d’Italia (È vero che la Banca d’Italia viene
privatizzata?)

La Banca d’Italia era e resta un istituto di diritto pubblico, che svolge funzioni pubbliche su cui nessun soggetto privato mai ha potuto, né mai potrà, esercitare alcuna influenza. Su questo i Trattati europei e le norme italiane sono tassativi, lo erano in passato, lo rimangono oggi. Per ragioni storiche che risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, la Banca d’Italia già aveva una forma giuridica associativa, e che ricordava quella di una società per azioni; le quote di partecipazione al capitale erano distribuite tra banche ed enti di assicurazione e previdenza, per la maggior  parte divenuti dagli anni Novanta di natura privata. La riforma crea le condizioni perché i partecipanti al capitale non siano più in pochi, come oggi, ma in tanti; non solo banche e compagnie assicurative, ma anche fondi pensione e fondazioni. È un
modello non dissimile da quello delle banche centrali di due tra i maggiori paesi del mondo avanzato, gli Stati Uniti e il Giappone. Nessuno mai penserebbe di considerare “private” la Federal Reserve americana o la Banca del Giappone.
La “Legge sul risparmio” del 2005 p
revedeva, tra l’altro, il passaggio del capitale
sociale della Banca allo Stato. Negli anni seguenti questa previsione non è stata attuata. In primo luogo, il mantenimento dell’indipendenza della Banca d’Italia, sancita e tutelata dal Trattato europeo sull’Unione economica e monetaria, avrebbe richiesto la predisposizione di un complesso intervento legislativo a protezione di tale indipendenza. Questa, come è stato più volte riconosciuto dalla Banca centrale europea, non è stata in alcun modo compromessa dall’assetto a partecipazione privata. In secondo luogo, lo Stato avrebbe dovuto indennizzare i partecipanti, i quali vantavano diritti legalmente protetti. La misura dell’indennizzo era incerta e ardua da determinare. Si è arrivati oggi a stimare il valore delle quote attraverso un calcolo complesso e con la consulenza di esperti nazionali e internazionali (da 5 a 7,5  miliardi di euro; cfr. il documento Aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia). In caso di statalizzazione della Banca una tale somma sarebbe
stata a carico del bilancio pubblico, cioè del contribuente.

2. Effetti sui bilanci dei partecipanti al capitale (Questa riforma non si risolve in
un regalo alle banche?)

La riforma ha due effetti fondamentali: il primo è quello di allargare la platea dei
partecipanti al capitale della Banca, in modo che ciascuno ne detenga una quota
piccola (non superiore al 3%, dice ora la legge; questo consente di eliminare
qualsivoglia dubbio, anche formale, che una concentrazione di quote in capo a un
singolo partecipante possa condizionare in qualche modo l’azione della banca
centrale); il secondo è quello di risolvere definitivamente un’ambiguità presente nello
statuto della Banca d’Italia fin dal 1948: i dividendi per i partecipanti erano fissati in
un modo complicato che li legava alle riserve patrimoniali della Banca, come se tali
riserve fossero di proprietà dei partecipanti stessi. Secondo il vecchio statuto, ai
partecipanti potevano essere assegnati dividendi fino al 4% delle riserve complessive;
queste erano pari a circa 15 miliardi nell’ultimo bilancio, quindi i partecipanti
avrebbero potuto ricevere l'anno scorso fino a 600 milioni in dividendi, anche se ne
hanno ottenuti solo 70, pari allo 0,5%. Ma le riserve nel patrimonio della Banca si
accumulano anno dopo anno grazie ai proventi dell’attività classica di una banca
centrale, il “battere moneta”. In quanto derivanti da una tipica attività di interesse
pubblico, queste riserve (così come le altre poste patrimoniali presenti nei conti della
Banca d’Italia, incluso ovviamente l’oro) non sono di proprietà dei partecipanti, i
quali possono vantare diritti solo in relazione al capitale in senso stretto della Banca,
diritti assegnati loro dalla Legge Bancaria del 1936 e ora rivalutati. Questo viene
chiarito con la riforma.

Allo stesso tempo viene affrontato un altro problema posto dal vecchio statuto: la possibilità che i dividendi per i partecipanti, essendo fissati come quota delle riserve, potessero crescere indefinitamente in cifra nominale al crescere delle stesse. Dieci anni fa erano stati pagati dividendi per 45 milioni, lo scorso anno per 70, con una progressione potenzialmente infinita. Con la riforma, i dividendi sono ora una quota (non più del 6%) del capitale in senso stretto, il quale è espresso in cifra fissa (7,5 miliardi): quindi, i dividendi non potranno mai eccedere i 450 milioni. Quelli che saranno effettivamente pagati dipenderanno ovviamente ogni anno dalle condizioni del bilancio; tuttavia, l’intero esercizio è costruito in modo che vi sia equivalenza tra i flussi complessivi di dividendi calcolati con i criteri pre e post riforma.


Quanto all’osservazione da più parti avanzata che la rivalutazione delle quote
aumenterebbe “artificialmente” i patrimoni delle banche partecipanti, va notato che
essa consente di riportare il valore di bilancio della partecipazione su livelli più
coerenti con la realtà dei fatti. Ai fini della valutazione dei rapporti di capitale che le
banche devono rispettare come requisiti di vigilanza, il patrimonio cosiddetto “di
migliore qualità” potrà in effetti aumentare in relazione alla disciplina del
Regolamento europeo; da quest’anno, tali requisiti non sono più oggetto di norme
nazionali; questo è coerente con il fatto che la riforma rimuove le caratteristiche di
immobilizzo permanente delle quote. L’aumento sarebbe di circa 40 punti base per la
media delle banche partecipanti oggi al capitale. Questo incremento non è un
artificio, ma dipenderà dall’applicazione delle norme contabili internazionali.

Comunque, non potrà essere incluso nel capitale iniziale valido ai fini dell’asset
quality review delle maggiori banche europee condotto dall’Eurosistema in vista del
lancio del Meccanismo unico di vigilanza, in quanto a tal fine si applicano i filtri
prudenziali previsti nelle norme della Banca d’Italia.

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