15 settembre 2010

Cosa si sa davvero del capitale della Banca d'Italia - Seconda parte

Cosa dice De Mattia nel suo libro?

La Banca d'Italia nasce nel 1893 unendo diverse banche con diritto di emettere moneta presenti nel momento dell'Unità d'Italia. E' una società per azioni e le sue 300.000 azioni finiscono nelle mani di azionisti privati, in maggioranza liguri e piemontesi.

Le azioni sono quotate in molte borse e il loro prezzo oscilla troppo. Così nel 1926 la Banca d'Italia decide un aumento di capitale. Si emettono 200.000 azioni, metà delle quali riservate alle casse di risparmio, che si impegnano a non rivenderle per almeno 10 anni.

Le casse di risparmio si ripartiscono le azioni in base ai depositi raccolti in quel momento: chi gestisce più capitali ha più azioni. Sono più di 100 le casse che aderiscono all'aumento di capitale e i nomi si trovano nella tabella 20 del tomo II del libro di De Mattia, divise per aree geografiche.

La suddivisione regionale risponde a una esigenza di attenzione ai territori richiesta alla Banca, che nomina il Consiglio Superiore con diverse elezioni presso le sedi regionali.

Nel 1936 cambia tutto. La Banca d'Italia diventa un istituto di diritto pubblico. Non è più società per azioni e scompaiono gli azionisti privati. Tutti gli azionisti ricevono 1.300 lire per ogni azione posseduta. La sottoscrizione di quote da parte dei "partecipanti" è sottoposta ad alcuni vincoli: si può trattare solo di banche, assicurazioni e istituti di previdenza e il trasferimento delle quote è vincolato al consenso della Banca.

Per suddividere le quote si crea un apposito consorzio a cui partecipano i rappresentanti della Banca, delle banche e delle assicurazioni. Il consorzio decide che le casse di risparmio, che nel frattempo hanno comprato altre azioni (circa 42.000) nella speranza di contare di più nel rapporto con la Banca d'Italia (1), investiranno nel capitale della Banca la somma derivante dalla rimborso delle azioni.

In pratica 1300 lire per oltre 140.000 azioni (100.000 sottoscritte nel 1926 più quelle acquistate in seguito) si trasformano in circa 185 milioni di lire, reinvestiti, da 88 casse in 185.056 quote (su 300.000 totali).

In pratica la maggioranza del capitale è in mano alle casse di risparmio, che tuttavia decidono poco o, meglio, nulla, come ha raccontato lo storico Luigi De Rosa (2).

Le altre azioni sono distribuite tra 11 banche e 9 assicurazioni più l'INPS che da sola ottiene 15.000 quote.

Tutto ciòè raccontato da De Mattia nel libro del 1977, ma era noto già nel 1937.

Basta procurarsi l'Adunanza generale ordinaria dei partecipanti di Banca d'Italia relativo al 1936, l'equivalente dell'epoca della Relazione annuale del governatore per leggere a pagina 71 che

"Al 31 dicembre 1936, gli enti e istituti possessori delle 300 mila quote di partecipazione al capitale della Banca erano suddivisi nelle seguenti categorie:
Casse di risparmio, n.88 per quote 185.056
Istituti di credito e banche di diritto pubblico, n.11 per quote 68.444
Istituti di previdenza, n.1 per quote 15.000
Istituti di assicurazione n. 9 per quote 31.500"

De Mattia offre dati più particolareggiati, perché -si può supporre- ha avuto a disposizione documenti presenti solo nell'archivio romano della Banca. E' così possibile conoscere la distribuzione delle quote per per categorie di soggetti proprietari e in base alla distribuzione territoriale (tabella 21, tomo II), distribuzione utile a capire quali banche possedessero quote. Ad esempio esiste un solo istituto di diritto pubblico toscano: può solo essere il Monte dei Paschi di Siena; un solo istituto in Piemonte, che possiede 2500 quote: è l'Istituto Bancario San Paolo.

Infine De Mattia racconta i pochi passaggi di proprietà delle quote dal 1937 in poi. In pratica il capitale della Banca è rimasto sempre nelle stesse mani. Fino al 1992, aggiungo io, quando arriva la legge Amato-Ciampi che dà il via al valzer delle fusioni e acquisizioni bancarie e, con esse, all'aggregazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, possedute oggi per oltre il 42% dal gruppo Intesa-San Paolo.

C'eravamo chiesti perchè solo nel 2003 sono saltate fuori notizie sui partecipanti al capitale. I pochi passaggi di quote da una banca all'altra sono una buona ragione: un tema interessa se cambia qualcosa. La distribuzione del capitale della Banca d'Italia è rimasto praticamente invariato per decenni e a pochi è venuta la voglia di occuparsi dell'argomento.

vai alla prima parte dell'articolo
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(1) De Rosa, Storia delle casse di risparmio e della loro associazione, Laterza, pag. 306 e seguenti

(2) De Rosa racconta che il presidente dell'associazione delle casse (ACRI), De Capitani, riteneva di poter contare di più nel Consiglio Superiore della Banca d'Italia e per questo motivo chiese alle casse di acquistare azioni. Aveva ricevuto assicurazioni in tal senso dal governatore Azzolini.

Ma alla fine nel Consiglio Superiore non entra alcun rappresentante delle Casse, che pure avevano oltre il 60% delle quote, a dimostrazione di quanto contino davvero i partecipanti nella Banca.

Nello statuto si stabilisce infatti l'incompatibilità per gli amministratori delle Casse di Risparmio, delle Banche e degli Isituti di diritto pubblico a far parte del Consiglio Superiore della Banca d'Italia.

Le Casse protestano ma si sentono rispondere che gli istituti vigilati non potevano diventare organi vigilanti e che tale decisione era stata presa da Mussolini (De Rosa, pagg. 313-314)

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