07 maggio 2014

Fiat fase 5

Tre anni e mezzo fa avevo scritto questo articolo sulla Fiat: a mio avviso si poteva dividere il lavoro di Marchionne in 4 fasi.

Nella prima ha tirato fuori la Fiat dalla palude dei rapporti con GM-Opel e dell'eccesso di debiti. Nella seconda ha rilanciato i modelli più popolari, nella terza ha provato a rilanciare i marchi più prestigiosi (Alfa Romeo), salvo fermarsi per l'arrivo della crisi e dell'opportunità rappresentata dalla Chrysler.

Nella quarta fase Marchionne ha pensato a unire Fiat e Chrysler. Era importante, nel 2009, concentrare gli sforzi sull'azienda americana che usciva da un lungo periodo di insuccessi. Marchionne ha affrontato la questione in modo quasi banale, chiudendo alcuni impianti della Chrysler prima di iniziare un lungo lavoro di integrazione tra i due gruppi.

La logica era semplice: con la chiusura degli impianti si riducono i costi e si pongono le condizioni per fare utili anche se le vendite vanno peggio del previsto.

In Italia, avevo scritto nel 2010, la fase 4 voleva dire "rinvio dei nuovi modelli e ristrutturazione degli impianti per prepararli al futuro lancio di nuovi modelli".

Qualcosa è successo: Pomigliano d'Arco produce la Panda, a Torino si producono le Maserati, tra qualche mese usciranno la 500X e un modello di Jeep da Melfi.

Non erano prevedibili le difficoltà degli anni successivi, con la crisi dello spread nel 2011 e il calo ulteriore della domanda, con conseguente rinvio di investimenti e nuovi modelli.

Adesso che la crisi volge al termine, che Chrysler è al 100% di Fiat, inizia la fase 5, che per l'Italia significa investimenti sui modelli Alfa Romeo e Jeep, e all'estero consiste nell'espansione in nuovi mercati, come quello cinese.

Non stupisce una Fiat-Chrysler che in questo momento punta tutto o meglio molto sull'Italia. Era prevedibile, perché la strategia di ridurre la capacità produttiva negli USA, per diminuire i costi e aumentare la probabilità di ottenere utili, non poteva che essere seguita dagli investimenti in Italia dove c'erano impianti sottoutilizzati.

Era il solo modo per raggiungere gli obiettivi di 6-7 milioni di automobili prodotte senza rischiare perdite eccessive negli anni in cui il mercato è debole.

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