31 maggio 2014

Nuova distribuzione degli utili di Bankitalia?

Le prime pagine delle Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia quest'anno sono dedicate alle vicende interne dell'istituto di emissione. Sappiamo che verso la fine dello scorso anno la Banca ha subito un'importante trasformazione, con la rivalutazione delle quote possedute dai partecipanti al capitale (vedi qui).

Il capitale è passato da 300 milioni di lire a 7,5 miliardi di euro grazie all'impiego di riserve accumulate dalla Banca stessa ("L’aumento è stato operato con il trasferimento a capitale di parte delle riserve statutarie, senza incidere sul patrimonio complessivo della Banca e senza oneri per la finanza pubblica"- scrive il governatore).

Come influisce l'aumento del capitale sociale sulla distribuzione degli utili? Se lo sono chiesti in molti, compreso questo blog.

C'era la possibilità che gli utili destinati ai partecipanti salissero fino a un massimo di 450 milioni.
E così è stato. O forse no?

Il bilancio della Banca dice che dopo aver versato 1643 milioni di imposte (e dopo ammortamenti e accantonamenti) l'utile netto del 2013 è di 3035 milioni così distribuiti: altri 1896 milioni sono destinati allo Stato, 759 milioni finiscono nella riserve ordinaria e straordinaria e 380 milioni sono destinati ai partecipanti. In pratica poco più del 5% del nuovo capitale di 7,5 miliardi.

L'anno scorso la ripartizione degli utili per oltre 2,5 miliardi è stata differente, divisa tra lo Stato (1,5 miliardi) e le riserve, ordinaria e straordinaria (1 miliardo). La Banca poi ha prelevato 70 milioni dalle riserve per destinarle alla remunerazione dei partecipanti.

Nel 2013 le riserve sono scese a 759  (-241 milioni) ma gli utili ai partecipanti sono saliti a 380 milioni (-210). Il motivo dei cambiamenti la spiega il governatore. Con la riforma di fine 2013 i partecipanti perdono i loro diritti sulle riserve statutarie. E infatti gli utili non sono più prelevati dalle riserve ma direttamente dall'utile. Diminuisce perciò la parte di utile destinato alle riserve, e aumentano gli utili distribuiti direttamente.

In altre parole prima della riforma del 2013 i partecipanti potevano vantare diritti sulle riserve, diritti grazie ai quali hanno ottenuto la rivalutazione delle quote possedute. Dopo la riforma incassano utili ma non possono sperare nella rivalutazione delle quote, avendo perso i diritti sulle riserve.

Ovvero come scrive il governatore:
La riforma evita indebiti trasferimenti di ricchezza a vantaggio o a danno dei partecipanti. Nel precedente assetto, in aggiunta ai dividendi i partecipanti percepivano una somma proporzionale alle riserve statutarie della Banca, destinate ad aumentare indefinitamente nel tempo per l’automatico
reinvestimento dei loro frutti e l’accantonamento di parte degli utili annuali.
Nell’eliminare i diritti dei partecipanti sulle riserve statutarie, le nuove regole hanno sancito che spetta loro il solo dividendo a valere sull’utile netto, fino a un massimo del 6 per cento del capitale, quindi non oltre 450 milioni. Importi crescenti nel tempo senza limiti sono stati sostituiti da dividendi
inizialmente più alti ma soggetti a un limite massimo fisso.

30 maggio 2014

Che fine hanno fatto i tecnici?

Che fine hanno fatto i tecnici che nel 2011 hanno creato il governo Monti?

Quando nel 2011 lo spread è salito alle stelle e il governo Berlusconi è collassato, a molti è parsa una fortuna l'arrivo di Mario Monti e del governo dei tecnici.

Meno entusiasmo s'è registrato dopo qualche settimana con l'arrivo di provvedimenti che, con la speranza di rimettere in sesto i conti dell'Italia, hanno provocato una durissima recessione, costata un milione di posti di lavoro e 5 punti di PIL (vedi qui).

Recessione che ha provocato la scomparsa, in politica e nei media, di Mario Monti, incapace pure di gestire il suo partito, Scelta Civica, passato in poco più di un anno da oltre il 10% dei voti a meno dell'1%.

Analoga sorte sembra aver seguito Corrado Passera che da mesi si propone come leader politico desideroso di "unire i moderati" cioè la destra, ma senza successo.

Elsa Fornero, collega e amica di Monti, chiamata a riformare in modo brutale le pensioni, è passata dalle lacrime che l'hanno resa famosa più del suo lavoro al ministero al latte, entrando nel consiglio di amministrazione della Centrale del Latte di Torino.

Non un grande incarico, ma sorte migliore di quella toccata al "tecnico" Corrado Clini, esponente del think tank liberista IBL (vedi qui) da qualche giorno ospite delle patrie galere, accusato di aver distolto soldi pubblici e di aver intascato tangenti.

Insomma i tecnici erano meglio del governo precedente. O almeno l'abbiamo creduto per il tempo necessario a salvare l'Italia da un disastro peggiore.

28 maggio 2014

Il partito dell'1% o forse meno

Scelta Europea ha fatto schifo, torno in America. Parola di Michele Boldrin, docente di economia italiano negli USA che ha provato a fare carriera in Italia come politico, forte delle sue tesi (ideologiche) liberiste, proposte agli elettori tramite la lista Fare per fermare il declino.

Tesi che si sono unite con quelle di altri partiti di ispirazione liberista: Scelta Civica, creata da Monti e oggi guidata dalla ministra Giannini, e Centro Democratico di Bruno Tabacci.

Ora questi tre partiti, uniti sotto la sigla Scelta Europea, potrebbero ben rappresentare gli interessi dell'1%, cioè di una minoranza che difende i suoi interessi attraverso politici, economisti e intellettuali in genere che predicano l'ideologia liberista, ma hanno preso lo 0,7.

In Italia le super-elite rappresentano solo lo 0,7% degli elettori? Oppure i geniali liberisti di Scelta Europea sono così poco credibili che non hanno saputo intercettare neanche l'1% dei voti?

Forse non lo sapremo mai, ma ci fa piacere che Monti nell'ultimo anno e, da oggi, Boldrin, siano scomparsi da giornali e tv. Delle loro tesi, della loro ideologia, dei loro atteggiamenti facciamo volentieri a meno.


27 maggio 2014

buono pulito e giusto


Su suggerimento di Mattia, vi consiglio di passare 12 minuti a sentire questo interessante intervendo di Carlin Petrini

26 maggio 2014

Elezioni

Le elezioni hanno riservato molte sorprese piacevoli (e anche qualche dispiacere: non ce l'ha fatta l'amico Luca, in un piccolo comune del Monferrato) per gli elettori progressisti e anche per l'economia italiana.

La vittoria del PD di Renzi e il Nuovo Centro Destra che raggiunge il quorum hanno tranquillizzato i mercati. Lo spread è ridisceso verso quota 160 e la borsa ha festeggiato con un forte balzo, oltre il 3,6% in una sola seduta.

E' una buona notizia perchè, non mi stancherò mai di dirlo, uno spread basso significa meno soldi spesi per pagare gli interessi sul debito pubblico e quindi meno problemi di bilancio, più risorse per alimentare la domanda, meno difficoltà per finanziarsi a tassi più bassi.

Il grande sconfitto è Beppe Grillo che, da pensionato, critica l'Italia dei pensionati che ha deciso di non votarlo. Considerazione che stimola due riflessioni.

La prima riflessione riguarda il marketing: un partito (movimento, se preferite) che fa del marketing il motore della propria attività politica e punta sui giovani sempre connessi in rete, si lamenta di aver perso per colpa dei pensionati, che invece premiano il partito di un presidente del consiglio di 38 anni.

Sembra una barzelletta. Un partito guidato da un 65-enne che non si rende conto che in Italia ci sono milioni di anziani pensionati ma si rivolge ai giovani, felici di inneggiare al leader pensionato, che, una volta sconfitto, se la prende con i suoi "colleghi" pensionati.

Vorrei conoscere il genio del marketing che guida le scelte di Grillo.

La seconda riflessione è di carattere economico: perchè un pensionato dovrebbe votare per un partito/movimento che promette una sorta di rivoluzione economica che metterebbe in pericolo la sua pensione e i suoi risparmi, presumibilmente investiti in buona parte in titoli di Stato?

La maggior parte degli individui preferisce il certo all'incerto, ovvero preferisce un guadagno più basso ma certo a uno più alto e rischioso, specie in momenti della vita che suggeriscono alle persone di assumere meno rischi.

Due buone ragioni, quindi, per non votare i pentastellati.


25 maggio 2014

L'Inter di Thohir... e di Moratti

La scorsa estate il mondo del calcio era alle prese con la decisione di Massimo Moratti, principale azionista dell'Inter, di vendere la società. Ne avevamo parlato in questo articolo: http://www.econoliberal.it/2013/10/moratti.html, chiedendoci cosa sarebbe successo a una società abituata per 18 anni a spendere più di quanto incassasse con la vendita di biglietti e diritti di varia natura.

Oggi lo sappiamo: l'Inter ha fatto qualche punto in più dell'anno precedente e sta mantenendo il proposito del proprietario, l'indonesiano Thohir, di rimettere in sesto in conti della società, anche rinunciando a giocatori molto importanti, nella storia recente, come Milito, Cambiasso o Samuel (oltre a Zanetti, arresosi all'avanzare dell'età).

Tra i tifosi non mancano i delusi, a cominciare da Massimo Moratti, che a Latina per ritirare il premio  “Mecenate dello sport”, ha spiegato: “Thohir è stata la scelta migliore. Ma non mi piace molto quando dice di voler risanare l’Inter, che non ha nulla da risanare. L’Inter ha risposto sempre ai propri debiti, all’acquisto dei giocatori, al pagamento degli stipendi senza mai pesare su nessuno”.

Dichiarazioni che sembrano suggerire qualche problema di memoria. Se l'Inter non era da risanare perchè l'ha venduta? Una società con un buon conto economico, per quanto indebitata, non è un problema: il debito è sostenibile e se c'è un utile, il debito si riduce. E' difficile che in queste circostanze una banca chieda al principale azionista di una società di vendere la società o di mettere di tasca propria soldi con cui ridurre i debiti, come invece è successo a Moratti.

Moratti era abituato a ricapitalizzare periodicamente l'Inter con i soldi che incassava dalla società di famiglia, la Saras. Ma da anni ormai i conti Saras sono in rosso (l'ultima trimestrale s'è chiusa con 40 milioni di perdite) e Thohir non intende seguire lo stesso modello. Per risanare deve anzitutto tagliare i costi, con effetti negativi sui risultati sportivi. Di qui la provocazione di Moratti, scontento perchè il suo successore non intende spendere devine di milioni l'anno per conquistare risultati migliori.


21 maggio 2014

La bufala è servita

L'amico Romeo, da sempre impegnato anche su youtube a svelare bufale di ogni genere (compresa quella del signoraggio) sarà impegnato venerdì e sabato nella sua Toscana, tra Firenze e Pisa. Chi volesse sentirlo, trova qui il programma: http://italiaxlascienza.it/main/dettagli-per-citta/

20 maggio 2014

Spread a 230?

Negli ultimi giorni lo spread è salito in modo preoccupante. Da quota 145 circa a 180, complici i dati negativi del PIL.

Solo per quello? A mio parere no. Tra pochi giorni si vota e chi possiede titoli di stato teme l'instabilità che potrebbe derivare dal voto. Nel dubbio che il governo esca indebolito dal voto di domenica, qualcuno vende i titoli italiani, con la conseguenza che lo spread sale.

Non è irrealistico pensare che dai 180 punti di oggi si passi a livelli più alti tra lunedì e martedì. Forse 200, forse 230.

Si accettano scommesse...

19 maggio 2014

Juventus: bilancio allarmante?

Qualche giorno fa Repubblica (vedi qui) ha titolato: Juventus,  tre scudetti160 milioni di rosso, 200 di debiti. Un titolo allarmante, che lascia intendere che i tre scudetti siano costati 160 milioni di perdite e quindi che prima o poi la società dovrà fare i conti con un bilancio insostenibile.

E' un titolo fuorviante, prima di tutto perchè il bilancio della stagione 2013-2014 si chiuderà solo a fine giugno e quindi non è possibile stabilire a quanto ammontino le perdite dei tre anni vincenti. Per cui cerchiamo di chiarire qualcosa sui conti della Juventus e su quel che scrive Repubblica.

Iniziamo dal dato meno preoccupante: i -200 milioni di posizione finanziaria netta. Si devono principalmente al pagamento rateale dei calciatori acquistati negli ultimi anni. Per evitare di ricorrere ai debiti bancari, con i conseguenti oneri per interessi e il rischio di vedersi chiudere i rubinetti dei prestiti, la Juventus come molte squadre italiane ricorre a pagamenti dilazionati nel corso degli anni. E questo non può che peggiorare i dati finanziari della società.

Le perdite invece vanno inquadrate nel giusto arco temporale. I 160 milioni di cui parla Repubblica sono calcolati sommando le perdite degli ultimi tre esercizi, escluso quello in corso.

Il campionato 2010-11, con Del Neri allenatore e la squadra finita settima, s'è chiuso con 95 milioni di perdita. Un'enormità, dipesa anche da acquisti (con relativo ammortamento) troppo onerosi.

95 milioni coperti con l'uso delle riserve disponibili, con l'annullamento del capitale e conseguente aumento di capitale avvenuto nel 2012 per circa 120 milioni.

Quindi i 95 milioni sono stati coperti dagli azionisti (l'Exor, finanziaria di casa Agnelli ha versato oltre 70 milioni).

Nel 2011-12 le perdite scendono a 48 milioni, grazie anche al nuovo stadio che fa salire i ricavi e nel 2012-13 a meno di 16, in virtù del ritorno in Champion League. Perdite coperte con i soldi versati dagli azionisti: la perdita dell'ultimo anno risulta coperta con la riserva sovrapprezzo azioni.

Nell'anno in corso le perdite probabilmente aumenteranno per colpa dell'eliminazione dalla Champions League. Senza tale eliminazione, i "rosso" sarebbe stato minimo o ci sarebbe stato un modesto utile.

Quindi la situazione non è affatto quella suggerita dal titolo di Repubblica. E il futuro potrà riservare sorprese positive, non solo legate ai risultati sportivi. Infatti il prossimo sarà l'ultimo campionato con il marchio di Nike sulle maglie. Dalla stagione 2015-16 arriverà un nuovo sponsor tecnico, Adidas, e gli introiti per indossare maglie e tute aumenteranno di una quindicina di milioni.

A questi si aggiungeranno, si spera, contratti più ricchi con altri sponsor: anche per Jeep sarà l'ultimo anno sulle magliette bianconere e tra gli sposor per ora minori della Juventus ci sono già adesso Samsung e Bwin, forse destinate a spendere di più per farsi pubblicità associandosi alla squadra più popolare d'Italia.

Quindi ci sono le premesse per bilanci in ordine, a dispetto degli allarmistici titoli dei giornali, e non servirà vendere giocatori importanti, come Pogba, per sistemare il bilancio.

17 maggio 2014

Bel tempo, il PIL cala

Il PIL, lo sappiamo da ieri, nel primo trimestre 2014 è sceso dello 0,1%. Quali le cause?

La prima è di carattere meteorologico. Nel primi tre mesi dell'anno il tempo è stato clemente. Molta pioggia ma con temperature mai basse. Il minor impiego di prodotti petroliferi ha fatto scendere il PIL italiano, ma anche quello olandese, calato dell'1,4% a causa delle minori esportazioni di energia.

L'altro elemento è la casa. Il settore immobiliare ha subito una contrazione ragguardevole: oltre 1/3 del settore è scomparso con la crisi, trascinando diversi altri settori, vale a dire chi produce i beni destinati a entrare nelle case, mobili, cucine, sanitari, piastrelle, pavimenti, ecc.

Gli altri settori invece danno segni di ripresa, sia pur lenta.

Insomma, la crescita per ora non c'è,
ma non tutto il male vien per nuocere: gli italiani che hanno risparmiato un pò di soldi in riscaldamento magari li spenderanno nei prossimi mesi.

15 maggio 2014

Complotto contro Berlusconi?

In 2-3 giorni sono successi due fatti interessanti, che dovrebbero far riflettere chi gioca col fuoco dell'uscita dall'euro.

Il primo fatto sono le rivelazioni di Geithner, ex numero uno della Banca centrale di New York, che ha raccontato che di Berlusconi in Europa non ne potevano proprio più, nel 2011, al punto che alcuni funzionari europei l'hanno avvicinato per chiedere una mano per cacciare Berlusconi.

Il 2011, è bene ricordarlo, è l'anno in cui è andata crescendo la sfiducia verso la sostenibilità dei conti pubblici italiani fino a far saltare il governo. Berlusconi prova a passare come vittima di un complotto contro di lui, colpevole agli occhi dell'Europa -secondo la sua interpretazione- di essersi opposto alla Germania, ma dimentica una banale verità: nel 2011 la fiducia verso l'Italia è crollata, nel giro di pochi mesi lo spread è salito di centinaia di punti e il suo governo è stato incapace di reagire.

Oggi è successo in piccolo un dramma simile. I dati sul PIL del primo trimestre, sceso dello 0,1% per effetto del calo del settore industriale (ha pesato anche l'evidente calo della produzione energetica, complice il clima invernale meno freddo dell'anno scorso), hanno colpito negativamente le borse. In un giorno lo spread è risalito di quasi 30 punti e la borsa ha preso il 3,6%.

I capitali, affliti verso titoli di stato e azioni italiane, hanno fatto marcia indietro, vendendo a man bassa i titoli acquistati qualche mese prima.

I fatti di oggi hanno smentito implicitamente la tesi del complotto che Berlusconi sta cavalcando in questi giorni. I capitali arrivano quando vedono opportunità di guadagno e fuggono quando pensano che le prospettive di guadagno stanno evaporando, e lo fanno velocemente, molto velocemente.

Non importa chi governa ma cosa succede in uno stato. Se le prospettive dell'economia sono negative, si vendono i titoli. Lo spread sale e il valore delle azioni scende. Vale oggi come tre anni fa, con Renzi come con Berlusconi.

13 maggio 2014

Conti Unicredit

Per la prima volta in sei anni i conti di Unicredit migliorano. Aumenta del 50% nel trimestre l'utile ma soprattutto diminuiscono i crediti deteriorati, vale a dire i crediti che le banche faticano a incassare.

Di cconseguenza diminuiscono gli accantonamenti (-28,5% rispetto a un anno fa) e aumentano i crediti concessi a famiglie e imprese (+14% rispetto all'ultimo trimestre).

Dati positivi, quindi, che dicono due cose: che non ha senso chiedere alle banche di prestare più soldi in un contesto negativo per la banca e che se l'economia peggiora, trascina i conti delle banche che reagiranno tagliando i crediti concessi.

Quindi che senso ha affrontare una crisi con l'austerità, che, deprimendo la domanda, non può che peggiorare i conti delle banche e, di conseguenza, la disponibilità di credito?

11 maggio 2014

Stiglitz sull'uscita (impossibile) dall'euro

Alcuni partiti e movimenti populisti stanno sbandieranno da tempo il vessillo dell'uscita dall'euro. Qualcuno sostiene che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro, altri invece propongono un referendum per lasciare agli italiani il diritto-dovere di decidere se restare nell'euro. C'è anche chi porta a sostegno delle proprie tesi le parole di alcuni vincitori del premio Nobel.

Qualcuno, come Stiglitz, ha voluto chiarire bene il problema.

Secondo Stiglitz, che nei mesi scorsi ha dovuto smentire presunte collobarazioni con Grillo (vedi qui), l'euro in assenza di un'Europa più integrata e solidale è stato un errore.

In mancanza di mecccanismi che riequilibrino le storture prodotte dal mercato, sarebbe stato utile avere le vecchie monete che si svalutavano moderatamente, così da ridare periodicamente un pò di competitività ai paesi con economie più deboli.

Con l'euro, tale meccanismo di riequilibrio è venuto a mancare. Ciò ha ridotto la competitività di alcune economie e ingigantito gli effetti della crisi, che avrebbe fatto meno danni se alcuni paesi avessero potuto svalutare, oppure se i paesi del nord europa avessero aumentato i loro stipendi e salari.

Quindi, pensa Stiglitz, l'euro come è stato concepito è un problema, ma non si può uscirne e sbaglia chi illude l'elettore che sia possibile tornare alle monete nazionali. Serve piuttosto un'Europa diversa, che prevede un patto fiscale e uno per le banche, ma non si può tornare indietro.

10 maggio 2014

Moneta e riforme

"Fornire un metodo per assicurare in futuro le necessarie fluttuazioni del prezzo dell'oro..sembrerebbe una proposta ragionevole e conservatrice".

La frase è riportata da John Kenneth Galbraith (in Soldi, Mondadori, pag.236) mentre illustra la riforma monetaria proposta dal professor George Warren e poi adottata, con scarso successo, da Roosevelt.

Perchè la frase sia interessante lo si capisce in seguito: "l'allusione di Warren al conservatorismo non era casuale. Egli era infatti convinto che, manipolando il presso dell'oro, si sarebbero potuti evitare moti altri interventi pubblici in senso riformistico, compresa buona parte del programma agricolo [Warren si occupava di agricoltura alla Cornell University] del New Deal. E ciò gli sembrava auspicabile. Fu insomma il primo di una serie di riformatori monetari..che hanno sperato di rendere superflui con i loro ritocchi ulteriori e più generali interventi governativi".

"Sono radicali nella teoria monetaria perchè sono conservatori in politica" conclude Galbraith.

E non è un caso, aggiungo io, che chi oggi predica l'uscita dall'euro appartenga spesso a movimenti politici molto conservatori.

09 maggio 2014

Bocconi di pizza

L'Università Commerciale Luigi Bocconi è una famosa università privata milanese,  che seleziona gli studenti, scegliendo ovviamente i migliori, a cui offre un'istruzione di alto livello, o almeno si spera.

Qualche giorno fa ha ospitato una conferenza del geometra Briatore, un italiano famoso per le sue doti commerciali oltre che per essere stato per diversi anni il massimo dirigente di una scuderia di Formula 1.

Non c'è nessuno tanto lontano e al tempo stesso tanto vicino alla Bocconi. Vicino perchè ben rappresenta l'anima commerciale della Bocconi e lontano perchè Briatore è stato un pessimo studente, ha conseguito un diploma da geometra più che altro per accontentare i genitori e non pare sopporti i secchioni, tanto da aver consigliato agli studenti di fare i camerieri al Billionaire o di aprire una pizzeria invece di creare una start-up.

Mi piacerebbe vedere la faccia degli studenti che dopo essersi impegnati per anni alle superiori e aver superato una difficile selezione, si sentono dire che è meglio fare il cameriere e godersi le mance al Billionaire. E mi piacerebbe vedere la faccia del genio che ha pensato di invitare Briatore perchè spiegasse l'inutilità della Bocconi. Un'università che non smette mai di stupire, e quasi mai in senso positivo.

07 maggio 2014

Fiat fase 5

Tre anni e mezzo fa avevo scritto questo articolo sulla Fiat: a mio avviso si poteva dividere il lavoro di Marchionne in 4 fasi.

Nella prima ha tirato fuori la Fiat dalla palude dei rapporti con GM-Opel e dell'eccesso di debiti. Nella seconda ha rilanciato i modelli più popolari, nella terza ha provato a rilanciare i marchi più prestigiosi (Alfa Romeo), salvo fermarsi per l'arrivo della crisi e dell'opportunità rappresentata dalla Chrysler.

Nella quarta fase Marchionne ha pensato a unire Fiat e Chrysler. Era importante, nel 2009, concentrare gli sforzi sull'azienda americana che usciva da un lungo periodo di insuccessi. Marchionne ha affrontato la questione in modo quasi banale, chiudendo alcuni impianti della Chrysler prima di iniziare un lungo lavoro di integrazione tra i due gruppi.

La logica era semplice: con la chiusura degli impianti si riducono i costi e si pongono le condizioni per fare utili anche se le vendite vanno peggio del previsto.

In Italia, avevo scritto nel 2010, la fase 4 voleva dire "rinvio dei nuovi modelli e ristrutturazione degli impianti per prepararli al futuro lancio di nuovi modelli".

Qualcosa è successo: Pomigliano d'Arco produce la Panda, a Torino si producono le Maserati, tra qualche mese usciranno la 500X e un modello di Jeep da Melfi.

Non erano prevedibili le difficoltà degli anni successivi, con la crisi dello spread nel 2011 e il calo ulteriore della domanda, con conseguente rinvio di investimenti e nuovi modelli.

Adesso che la crisi volge al termine, che Chrysler è al 100% di Fiat, inizia la fase 5, che per l'Italia significa investimenti sui modelli Alfa Romeo e Jeep, e all'estero consiste nell'espansione in nuovi mercati, come quello cinese.

Non stupisce una Fiat-Chrysler che in questo momento punta tutto o meglio molto sull'Italia. Era prevedibile, perché la strategia di ridurre la capacità produttiva negli USA, per diminuire i costi e aumentare la probabilità di ottenere utili, non poteva che essere seguita dagli investimenti in Italia dove c'erano impianti sottoutilizzati.

Era il solo modo per raggiungere gli obiettivi di 6-7 milioni di automobili prodotte senza rischiare perdite eccessive negli anni in cui il mercato è debole.

05 maggio 2014

Mappamondo finanziario

Bella cartina su Repubblica.it (vedi qui) con i rendimenti dei titoli di molti paesi. Tra le varie opzioni c'è "spread": cliccandoci sopra appare la cartina dell'Europa e per ogni paese viene indicato lo spread, vale a dire la differenza di rendimento tra i titoli decennali del paese scelto e quello della Germania.

Alcuni dati sono interessanti.

La Norvegia, ad esempio, è un paese molto ricco, ha un debito di valore simile a quello del fondo sovrano in cui sono confluiti parte dei guadagni dell'estrazione del petrolio. Sorprendentemente lo spread della Norvegia è 136, non molto lontano dai valori di Italia (159) o Spagna (152).

La Francia, che fino a pochi mesi fa era considerato uno dei malati d'Europa, il futuro problema dell'euro, continua a avere uno spread basso, inferiore a 50.

Ed è interessante anche notare che tra i paesi scandinavi, la Finlandia, che ha adottato l'euro, ha uno spread inferiore a quello di Norvegia e Svezia, che invece hanno una moneta propria.

Anche la Gran Bretagna con la sterlina ha uno spread tutto sommato elevato: 119.

Insomma avere una moneta diversa dall'euro non pare in questo momento essere per forza un vantaggio.

Un'ultima curiosità: c'è anche uno spread negativo, ovvero uno Stato i cui titoli rendono meno dei titoli tedeschi: è la Svizzera, che grazie al franco e ad un'economia da sempre solida e alle celebri banche, non ha alcun problema a approvvigionarsi di capitali a tassi bassissimi.

02 maggio 2014

P.S. sul valore aggiunto

Nel post precedente ci siamo occupati della differenza tra fatturato e valore aggiunto, ricordando che il valore aggiunto serve a pagare il lavoro, le imposte, gli utili, gli oneri finanziari e gli investimenti.

Quest'ultimo punto aiuta a capire perchè un'impresa (e anche uno Stato) dovrebbe puntare sui beni e servizi a alto valore aggiunto: più grande è la torta del valore aggiunto vale a dire maggiore è il reddito creato dall'impresa, maggiore è la quota che può finire al lavoro, agli investimenti e agli utili.

Ciò suggerisce che la misura del valore aggiunto è forse più importante di altre misure comunemente usate per indicare lo stato di salute di un'impresa.

Un'impresa, ad esempio, può fatturare molto ma avere un modesto valore aggiunto (detto in parole povere lavora tanto per guadagnare poco) oppure può avere un buon valore aggiunto, ma un utile modesto o anche negativo. Ma è molto più facile che un'impresa con un buon valore aggiunto nel lungo periodo registri buoni risultati e vinca le sfide del mercato di un'impresa con buoni utili.

Il valore aggiunto dipende infatti dalla capacità dell'impresa di valorizzare il prodotto attraverso l'impiego di conoscenza che si esplicita sotto forme diverse, come con l'impiego di tecnologia nel prodotto e nel processo produttivo o l'attenzione al marketing.

Chi fa questo ha molte più probabilità di competere sul mercato perché risente di meno della concorrenza basata sul prezzo basso, ottenibile ad esempio comprimento il costo del lavoro.

Quanto detto finora suggerisce, come detto in precedenza, che l'impresa farebbe bene a puntare sui beni e servizi a alto valore aggiunto, e che lo Stato dovrebbe fare altrettanto. Perchè più alto è il valore aggiunto delle imprese, maggiore è il PIl e quindi le imposte incassate.

La strada da seguire dovrebbe consistere nel creare un : più istruzione (per tutti) vuol dire maggiori possibilità di creare valore aggiunto e imposte con cui finanziare l'istruzione
circolo virtuoso




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